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Protesi al seno a rischio scoppio Indagine a Como

Protesi al seno a rischio scoppio Indagine a Como

protesi.pngCensimento dell’Asl in tutte le strutture ospedaliere. L’obiettivo: rintracciare le donne con il silicone difettoso

Protesi al seno con materiali scadenti: il rischio di rottura è più elevato, ma non sono cancerogene. Lo assicurano gli esperti, intenzionati a fare chiarezza dopo gli allarmi lanciati negli ultimi giorni sulle protesi di marca “Pip”.
L’Asl comasca, nel frattempo, sta ultimando il censimento richiesto dal ministero della Salute; i dati ufficiali arriveranno la settimana prossima, ma si può già ipotizzare che le protesi di questo tipo impiantate da ospedali e cliniche della provincia di Como siano poche decine (attualmente il conteggio è fermo a meno di dieci, mancano però le risposte di qualche struttura).
Alcune donne comasche, tuttavia, potrebbero essersi sottoposte all’intervento – non di carattere estetico bensì ricostruttivo, dopo una mastectomia legata alla rimozione di un tumore – presso l’Istituto europeo oncologico (IEO) di Milano, che spesso accoglie pazienti dal territorio lariano. Lo stesso istituto, in una nota riportata con grande evidenza sul web, spiega di aver «impiantato per un certo periodo di tempo le protesi Pip, per raggiungere risultati migliori in persone con una determinata conformazione corporea», aggiungendo che «tutte le pazienti sono già state contattate e invitate ad effettuare gratuitamente un’ecografia mammaria e una visita dal chirurgo plastico». I chirurghi comaschi hanno ricevuto numerose richieste di informazioni, mentre nessuno ha contattato i principali ospedali (al Sant’Anna non sono mai state impiantate protesi del genere) o l’Asl.
Eugenio Gandolfi, comasco, è il segretario nazionale dell’Associazione Chirurgia Plastica ed Estetica: «Non ho utilizzato nemmeno una volta le protesi Pip, ma si stima che in Italia le donne interessate siano quasi cinquemila e ci sarà qualche caso anche sul nostro territorio, quindi bisogna spiegare bene cos’è accaduto – sottolinea – Anzitutto, confermo che non si può parlare di materiali cancerogeni o pericolosi. Le linee guida del ministero, non a caso, stabiliscono solo che le donne con protesi Pip si rivolgano a un chirurgo di fiducia per una visita e un’ecografia, eventualmente anche una risonanza, in modo che sia possibile diagnosticare un’eventuale rottura. Se la protesi è rotta, infatti, va sostituita, in caso contrario non è necessario l’espianto ma bisognerà semplicemente sottoporsi a un controllo ogni sei mesi. Cosa contengono esattamente le protesi finite nel mirino? Un sacchettino con silicone in gel, come tutte le altre. Il problema è che si tratta di silicone di tipo “industriale” e non medicale, non è stato trattato. Proprio per questo la protesi può rompersi più facilmente e può causare fenomeni infiammatori».
La vicenda ha messo in subbuglio, oltre alle pazienti, tutta la categoria dei chirurghi plastici ed estetici: «La nostra associazione sta preparando un esposto – rivela Gandolfi – per chiedere ragione del motivo per cui siano state immesse sul mercato protesi del genere. Evidentemente non sono stati fatti controlli efficaci, i medici non hanno responsabilità ma sono parte lesa. Tra l’altro non è vero che simili protesi costassero molto meno delle altre». L’Asl fa sapere che «si sta procedendo al censimento degli interventi effettuati per impiantare protesi Pip in tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali pubbliche, private, accreditate o autorizzate».
M. Sad.

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